Musicalmente parlando è un anno di grazia: quasi tutti i miti viventi – quelli con cui si è formata buona parte del mio immaginario nell’adolescenza – stanno passando da Atene in concerto. Dopo i Bauhaus in inverno, e in attesa dei Cure, New Order e Dead can dance, ieri sera è stata la volta dell’iguana immortale: Iggy.
Quando a salire sul palco è un artista-varco te ne accorgi subito, senti il brivido dell’invasamento di massa. Lo senti, il dio che passa e tocca e respira, come nei poemi epici. Vuole la folla, per alimentare meglio il fuoco che ha dentro. Ha bisogno di incendi, per mantenere accese fiamme che a volte si dimenticano, nei discorsi che ci disinnescano. Energia grezza, potere puro. La storia dentro, che brucia nel fuoco e nei movimenti memorie, che sembrano indolore. È questa la chiave, lasciar bruciare?
Questa volta non vado in prima fila, non provo a passare dietro, questa volta non sono agitata dalle bruciature di sigaretta sulla pelle, e non ho nemmeno l’ebbrezza della maturità appena alle spalle. Ho me stessa e il mio fuoco, il mio corpo invasato, per qualche ora, da un’onda insieme vecchia e nuova, e un po’ di storia che si accende dentro, la bellezza dell’esperienza nuova linfa. Come la candela che a Pasqua vai ad accendere dal Pope, per portarti a casa ogni anno il fuoco di Gerusalemme. Invasamento: per restare dentro al canto a 72 anni – e oltre, Iggy.